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Ultracycling 3 Confini: Un’Epica Odissea Tra Follia e Trionfo

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  • Categoria dell'articolo:Ciclismo

E’ un sabato mattina, le 9:59, e mi trovo a Gemona del Friuli, saldamente in sella alla mia bicicletta. George Orwell diceva che “un pazzo non è che una minoranza formata da una sola persona”, ed oggi, quel pazzo sono io. Cosa mi sono messo in testa? Posso farcela o la mia parte folle sta prendendosi gioco della mia razionalità? Beh, io sono entrambe le cose: razionalmente folle. Senza un pizzico di follia, non mi sarei mai immerso in quest’avventura. Ma senza razionalità, non avrei neanche potuto considerare di percorrere 605 km con ben 12.500 metri di dislivello. Uno sforzo del genere richiede programmazione e attenzione ai dettagli, ma la mia tenacia e grinta sono le sole cose delle quali non ho mai dubitato… Sullo sfondo, un conto alla rovescia. Emozionato come un bambino, il mio sogno sportivo si sta finalmente materializzando: sto per iniziare “L’Ultracycling 3 Confini”. Devo domare 11 salite cattivissime entro 38 ore, senza spazio per esitazioni. Un’occhiata alla ruota anteriore, un bacio alla divisa della mia squadra, e un cenno d’intesa con i miei angeli custodi, il mio amore Alice e la mia amica Danka, che mi seguiranno lungo tutto il percorso… 5/4/3/2/1… VIA!!! Appena 300 metri e dalla macchina mi gridano “nooo, torna indietro, abbiamo sbagliato strada”… ecco… speriamo che il buon giorno non si veda dal mattino. Non sono superstizioso, ma in questi momenti ogni dettaglio, anche metafisico, può essere utile. I chilometri si susseguono, una miscela di emozione e godimento. Ancora impregnato di adrenalina dalla partenza, ho tutto ben chiaro nella mia testa. Le ore scorrono e le gambe si fanno sempre più pesanti; il caldo, particolarmente intenso sabato sul passo Rest e domenica a Castelmonte, sembra trasformare ogni pedalata in un viaggio verso l’inferno. Tuttavia, ogni volta che la fatica minaccia di prendere il sopravvento, la mia determinazione e gli incitamenti dalla macchina di supporto la scacciano via. I miei compagni di squadra mi ripetono come un mantra che “qui non esistono tempi impossibili, solo uomini arrendevoli”. Le vette si susseguono, non così rapidamente come vorrei, ma sono consapevole che il mio destino è e sarà sempre in salita, perché la salita è l’unico modo per arrivare in alto, nella vita e nello sport. I segnali stradali con i nomi delle cime che raggiungo si perdono alla mia vista dopo il mio passaggio, e mentalmente mi concentro subito sulla meta successiva; una pedalata dopo l’altra… Clauzetto, ecco… la prima è andata; Pala Barzana; Monte Rest, il caldo mi sta prosciugando le energie; Monte Pura, Sella Ciampigotto; il Kaiser, come amo chiamare io lo Zoncolan, non è un mostro, bisogna rispettarlo perché lui ti restituirà uguale dose di soddisfazione in proporzione alla fatica, siamo al tramonto e non poteva esserci appuntamento più romantico; la strada corre veloce lungo il Passo Monte Croce ed è già notte fonda; Passo Pramollo, dove mi concedo un breve fuori soglia non programmato per sfuggire ad un pastore maremmano libero che di certo non voleva stringere amicizia; Sella Nevea; passo Vrsic, il Trivio di Castelmonte…

“non avrei neanche potuto considerare di percorrere 605 km con ben 12.500 metri di dislivello”

Ormai nulla mi può fermare, avvistato il cartello Gemona, sento, come nei migliori action movie, dalla macchina di supporto i miei angeli che fanno partire a tutto volume l’inno della mia infanzia, la Radetzky March; mille pensieri affollano la mia mente, penso ai miei genitori, come sempre preoccupati, che mi stanno aspettando all’arrivo e al mio compare “Carpe” che da 40 km mi insegue lungo il percorso, incitandomi senza sosta… Ormai la fatica non la sento più, sono catatonico e pedalo in una sorta di incoscienza. L’emozione e la commozione mi stanno sopraffacendo, sto davvero per farcela… Suoni ed odori che mi porterò per sempre nel cuore e sulla pelle; il cielo stellato che mi ha accompagnato durante la notte; la carezza del vento bollente che mi ha avvolto durante tutta la gara e che mi ha preso violentemente a schiaffi; l’essenza suprema dell’amicizia, ovvero il sostegno, quando Danka mi libera la strada davanti da un gregge di pecore annoiato mentre arrivo stremato sulla cima del Vrsic; lo sguardo di mia moglie Alice, che racchiude mille emozioni, che mi ha supportato in tutto e mi ha sopportato nella preparazione della gara. Sono ad un palmo dal traguardo, con un sussulto ritorno alla realtà, un gruppo di bambini in MTB mi attende per scortarmi all’arrivo, le note Rock di “Eye of the Tiger” mi gasano e mi caricano dell’adrenalina necessaria per fare le ultime pedalate… Meno 100 metri… meno 50… È FINTAAAAA!!!! CE L’HO FATTAAAAA!!!! 32 ore e 24 secondi. Improvvisamente il buio nella mente, sento solamente le lacrime che scorrono senza che io riesca a trattenerle e meravigliosi abbracci da parte di persone sconosciute che in quel momento vogliono solamente dimostrare il rispetto nei miei confronti e per quello che ho fatto; è strano, ho stabilito un’affinità tanto immediata quanto effimera difficile da descrivere. La commozione lascia ben presto spazio alla soddisfazione ed alla gioia, quarto assoluto e campione regionale… non avrei potuto pensare ad una conclusione migliore…. si, forse si, l’abbraccio con Alice e Danka sul palco, assolutamente indispensabili, resterà per sempre un momento indelebile della mia vita. Fatico a stare in piedi, sono sfinito; respiro a fondo, mi ricompongo, tento di recuperare le poche forze che ancora mi rimangono. I 61,5 kg della partenza oramai sono un ricordo sbiadito, le 12,786 calorie consumate e probabilmente non reintegrate, hanno fatto sì che il mio peso si riducesse a 58,5 kg. È stata un’esperienza pazzesca, di quelle che per sempre ti rimangono impresse, un tatuaggio dell’anima; sono orgoglioso di aver avuto il coraggio di provarci, la cocciutaggine di non mollare, la capacità di prepararmi a dovere e la tenacia e la grinta per non mollare mai… del resto… IL CIELO È IN CIMA ALLA SALITA